
Djokovic a Wimbledon fa i conti con la realtà (Foto IG @djokernole - tuttiallostadio.it)
Per Novak Djokovic è arrivato il momento di fare i conti con il tempo. A svelarlo è stato proprio Jannik Sinner a Wimbledon.
Non è facile accettarlo, e infatti lui stesso lo ammette senza troppi giri di parole. Dopo la semifinale persa a Wimbledon, Novak Djokovic ha messo sul tavolo tutta la lucidità di chi, senza nascondersi, riconosce che qualcosa è cambiato.
Contro Jannik Sinner non ha semplicemente perso una partita: ha perso un duello fisico e mentale in cui, per la prima volta in modo così netto, l’età ha avuto un ruolo decisivo. Djokovic è ancora il numero sei del mondo, certo ma nessuno è eterno tantomeno nello sport, non resta altro che prenderne atto.
Djokovic ritiro sempre più vicino
Novak ha vinto tutto, ha riscritto record che sembravano eterni. Però ora, a quasi 38 anni, anche il suo corpo comincia a presentare il conto. E lo fa nei momenti in cui servirebbe di più quella brillantezza che lo ha reso uno dei più grandi nella storia del tennis. Sinner, che ha giocato un match perfetto, ha avuto il merito di spingere Djokovic fuori dalla sua comfort zone, di costringerlo a rincorrere palline che prima sembravano routine e ora diventano sforzi visibili, pesanti, talvolta insostenibili.
È stato lo stesso campione serbo, nel post-partita, a dare una lettura onesta e, sotto certi aspetti, cruda della situazione: “Non credo sia sfortuna. È solo l’età, l’usura del corpo”, ha detto. Una frase che pesa più di mille statistiche. Perché Djokovic ha sempre costruito le sue vittorie sull’efficienza, sulla capacità di arrivare lucido al quinto set, sul controllo totale del proprio corpo. Adesso, quel controllo sembra sfuggirgli. Anche se si allena, anche se cura ogni dettaglio della sua preparazione, non può fermare ciò che nessuno riesce a fermare: il tempo.

La realtà, come lui stesso ha sottolineato, lo sta colpendo in modo nuovo, negli ultimi diciotto mesi più che mai. E se lo dice lui, che è sempre stato ossessionato dal perfezionismo, è evidente che qualcosa si è spezzato. O, più semplicemente, si è trasformato. Non siamo ancora di fronte al ritiro, sia chiaro. Djokovic resta un campione in grado di vincere tornei, ma le condizioni per dominare come prima non ci sono più. Servono sorteggi favorevoli, giornate perfette e avversari meno brillanti. Cose che un tempo non gli servivano.
Sinner, con questa vittoria, non ha solo raggiunto la sua prima finale a Wimbledon per poi vnicerlo per la prima volta. Ha fatto vedere quanto sia diventato competitivo, completo, maturo. Ma ha anche – involontariamente – tolto a Djokovic il velo dell’illusione: quello di poter continuare a dettare legge in eterno. La sua parabola non è ancora finita, però ha iniziato la sua discesa. E farlo contro un ragazzo che rappresenta il futuro del tennis europeo rende tutto ancora più simbolico.
La sconfitta di Londra non è un addio, ma è senza ombra di dubbio un segnale forte. Novak lo sa. Ora dovrà decidere se accettare questa nuova dimensione o provare a sfidarla, ancora una volta. Ma con la consapevolezza, stavolta, che il tempo non si batte. Nemmeno con la forza di volontà.