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Il modello inglese

Antonella Boccasile Maggio 6, 2006

il modello iglese- tuttiallostadio.it

In Inghilterra i due obiettivi principali nella lotta contro gli hooligans sono: prevenzione e repressione. Oggi in Inghilterra il calcio è considerato uno spettacolo per famiglie: si gioca il 26 dicembre, il 1 gennaio e il lunedì di Pasqua. Gli inglesi non hanno mai pensato di bloccare le partite: hanno deciso di bloccare i violenti, in un Paese dove, per tradizione, i giovani bevono e fanno a botte maggiormente che in Italia. Dopo che per alcuni decenni la violenza negli stadi era una consuetudine del calcio d’oltremanica, macchiando il nome dei team e dei sostenitori inglesi anche all’estero a causa di gravi incidenti anche in campo internazionale (ricordiamo su tutti la finale di Coppa dei Campioni 1985 a Bruxelles), la stessa è praticamente scomparsa in Premier League, mentre gli incidenti continuano a verificarsi in maniera marginale sui campi minori.

Dopo la tragedia dell’Heysel, il governo inglese pretese e ottenne che tutti gli stadi abolissero i posti in piedi e si dotassero di impianti tv a circuito chiuso. Una volta cominciati gli arresti è arrivata anche la pubblicità, con l’appoggio dei tabloid pronti a svergognare in milioni di copie i protagonisti in negativo delle imprese. Quando si verificano incidenti la polizia sequestra tutte le eventuali fotografie dei reporter presenti e soprattutto passa al microscopio la grande quantità di materiale filmato. Le foto dei “protagonisti” finiscono sui giornali, con numeri di telefono da chiamare per denunciare eventuali sospetti. E in Inghilterra la collaborazione della gente è costante per segnalazioni, testimonianze, denunce. Senza contare che le pene per gli hooligans sono esemplari, anche senza il verificarsi di incidenti. Anche cori razzisti e offensivi sono vietati e passibili di pena immediata. E’ frequente vedere come gli addetti al servizio d’ordine degli stadi inglesi (che sono pagati dai club e non sono organi di polizia, senza quindi pesare sui contribuenti), i cosiddetti “steward”, disarmati, accompagnino fuori dallo stadio spettatori colpevoli di aver insultato, offeso o minacciato (verbalmente o tramite gestacci) giocatori o tifosi avversari. In Inghilterra la polizia rimane fuori dallo stadio, con un duplice vantaggio: la possibilità di meglio controllare che nessun oggetto pericoloso venga introdotto sulle tribune e il minore numero di unità richiesto.

Gli incidenti non sono certi spariti, ma sensibilmente diminuiti e si sono spostati fuori dagli impianti, dove l’intervento delle forze dell’ordine è più rapido, efficace e logisticamente più facile. Il buon esito dell’esperimento inglese ha indotto un importante club francese, il Paris Saint Germani (purtroppo noto per la pericolosità di alcune frange violente del proprio tifo) ad affidare la gestione della sicurezza agli stessi ultrà, con esiti soddisfacenti. Purtroppo in Italia questa soluzione è ancora utopistica, in quanto i club non hanno un dialogo con le tifoserie, ma troppo spesso vengono ricattati dalle stesse, come ha dichiarato Salvatore Naldi, presidente del Napoli, alla Gazzetta dello Sport del 25 settembre 2003. Queste norme hanno sensibilizzato i club britannici, tanto che quattro di essi negli anni scorsi hanno denunciato all’UEFA i cori razzisti subiti da alcuni loro giocatori in giro per l’Europa, costringendo di fatto l’UEFA a diramare un decalogo antirazzista e punendo con multe salatissime le società i cui tifosi si rendano protagonisti di episodi di razzismo.

Il Governo di Tony Blair, nell’estate del 2000, al termine degli Europei disputati in Belgio e Olanda che hanno raccontato violentissimi incidenti creati dai supporters inglesi (che all’estero non devono sottostare alle leggi efficacissime del loro Paese) ha fatto approvare in tempi brevissimi il “Football Disorder Act”, un pacchetto di leggi antiviolenza che ha conferito poteri enormi alla polizia. Tra i punti fondamentali di queste leggi la possibilità lasciata alla polizia di sequestrare il passaporto ad una persona sospetta cinque giorni prima di una gara internazionale. Per essere giudicati “sospetti” è sufficiente un tatuaggio. La sinistra ha subito protestato ritenendo tale norma incostituzionale, ma in nome della sicurezza l’accordo sulla legge è stato presto trovato.

Per capire le differenze tra il calcio inglese e quello italiano bastano alcuni dati relativi al rendimento dei loro stadi e ai servizi di sicurezza. Chi si è recato a Newcastle (rivale della Juventus nella Champions League 2002/03) è rimasto sbalordito nell’apprendere che il club incassa dalla ristorazione circa 45 miliardi di lire l’anno. La città non è bella, stadio (circa 53.000 posti) e centro commerciale ne sono le maggiori attrazioni. Si va alla partita anche per mangiare: la media dei pasti distribuiti è 6.500. Il bilancio della squadra allenata da Brian Robson si nutre di bistecche; i cuochi valgono più di Shearer, il mitico centravanti. Nessun club trae dallo stadio quanto il Manchester United (oltre 170 miliardi di lire) di Ferguson, ma per quasi tutti esso rappresenta una fondamentale risorsa. Certo le leggi inglesi li hanno resi sicuri e, quindi, frequentabili. Altro che gli eccessi di garantismo nei confronti dei violenti, più volte emersi da noi sia nel formulare le leggi, sia nell’applicarle. A Newcastle la sicurezza è garantita così: o Centrale operativa in un locale con vista sul campo. Vi si trovano 12 schermi televisivi collegati con 64 telecamere dentro e fuori lo stadio. Gli addetti possono utilizzare, con pulsanti, ogni telecamera in senso trasversale e verticale. Eventuali fatti delittuosi possono essere ripresi, registrati e fotografati in modo da conoscerne gli autori. La centrale avverte gli uomini della sicurezza (circa 400 persone) perché blocchino il colpevole. Le cui foto sono distribuite alle uscite, affinché non possa sfuggire. o Nello stadio ci sono sei celle gestite dalla polizia. Più posto di guardia, locale per rilevamento impronte e foto, locale per trasmettere dati segnaletici e risalire ai precedenti penali del fermato. La polizia può tenerlo in cella per 24 ore. o Il capo del servizio di polizia all’interno dello stadio si collega via computer col magistrato per decidere se il colpevole va processato per direttissima (nel quale caso il giorno dopo lo si porta in tribunale) o più tardi (in questo caso viene rimesso in libertà).

Dal sito: http://www.calcioinborsa.com/specialstadi_uk.htm

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Kevin Buckley, giornalista per “The Guardian” – “Financial Times” “BBC Radio”

è intervenuto a “Te La Do Io Tokio” su Radio Centro Suono Sport – 101.500

Esempio del modello inglese.
“La nostra esperienza di venti anni fa è stata orribile ed è stata causata dalla mancanza di sicurezza. Ora in Italia si sta imboccando lo stesso tunnel. Manca la serietà nell’approccio. In Inghilterra siamo lontani dalla situazione degli anni 80 ma sarebbe ingenuo dire che attualmente non ci sono problemi”

In Inghilterra i tifosi possono andare in trasferta?
“Sì, siamo un paese libero. Prima una pattuglia accompagnava i tifosi ospiti dalla stazione allo stadio. Ora i gruppi, più ridotti di numero, si muovono da soli”.

Senza le forze dell’ordine è possibile una partita di calcio senza violenza?
“Sì, è cambiata la cultura. Alcune misure sono eccessive, ma ormai il gesto violento non è più accettato dalla stessa tifoseria”.

Le squadre più violente?
“Come qui quelle di serie B, il Mllwall ad esempio. In serie A il West Ham, delle zone svantaggiate di Londra”.

Il disagio sociale c’entra allora?
“C’entra, ma in Inghilterra un ragazzo che non ha abbastanza soldi non può entrare allo stadio, perché non può acquistare il biglietto che ormai costa molto”.

I provvedimenti personali?
“Dipende anche se il tifoso è violento o ubriaco, comunque viene ammonita anche la società. Nel caso più estremo puoi essere diffidato finchè respiri, a vita”.

Sui fatti di Catania?
“Le misure adottate, tornelli eccetera, non avrebbero cambiato nulla nella circostanza di Catania. E anche sulle misure si vive di deroghe. San Siro non è in regola, è una truffa. Io ero lì e i tornelli installati non sono stati usati, soltanto uno. E solo quello inquadravano, per tutti gli altri erano proibite le riprese tv, poi abbiamo capito perché. Matarrese con quella uscita poco felice ha avuto purtroppo ragione: i morti fanno parte del calcio the show must go on. Il messaggio che arriva è che chi arriva allo stadio in massa e con tono minaccioso entra”.

Quando i tifosi inglesi furono maltrattati dalla polizia in curva sud durante la partita Italia – Inghilterra i vostri media si schierarono con i tifosi.
“Si perché i tifosi furono controllati e si erano comportati bene. Poi lì entra anche un po’ di nazionalismo delle forze di polizia contro i tifosi stranieri. Furono chiusi dentro per tanto tempo e non potevano muoversi neanche per andare in bagno. Presero manganellate in faccia per niente. L’immagine della polizia italiana è pessima in Inghilterra: troppo facile ad usare il manganello senza poi prendere i veri colpevoli. Troppe cose del calcio italiano non vanno: polizia, stadi, FIGC…”.

13-02-2007

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